Il libro di Henry: recensione

CRIME DRAMA A TINTE MÉLO CHE NON RIESCE AD ESPANDERE LE DIVERSE TEMATICHE TRATTATE

Il Libro di HenryGENERE: drammatico, thriller

DURATA: 105′

USCITA IN SALA:  23 novembre 2017

VOTO: 2,5 su 5

Henry Carpenter (Jaeden Lieberher) è un bambino dalla mente brillante che vive in una piccola cittadina con la madre Susan (Naomi Watts) e il fratello minore Peter (Jacob Tremblay). La sua perspicacia e il suo sguardo attento portano Henry a pensare che la sua vicina di casa, Christina (Maddie Ziegler), sia vittima del suo patrigno. Henry e sua madre cominciano così a investigare e a escogitare un piano per salvare la bambina.

“Ci sono cose peggiori della violenza. C’è l’apatia.” Henry è un ragazzo sveglio rispetto ai coetanei della sua età: gioca poco, se non con il fratellino Peter, pensa ad avere buoni voti a scuola, e dimostra un’intelligenza e caparbietà molto superiori: queste sue caratteristiche lo portano a indagare da solo sul comportamento sospetto di Glenn Sickelman (Dean Norris) nei confronti della figliastra Christina. Colin Trevorrow, dopo il kolossal Jurassic World, si affaccia con delicatezza al mondo dei bambini, in particolare a quello dei piccoli geni. A dare il volto al protagonista è il giovanissimo Jaeden Lieberher, che già si è fatto notare quest’anno con It. A Naomi Watts spetta il compito della madre un po’ imbranata ma dolce, una donna che cerca di farsi carico delle responsabilità per permettere ai figli di avere una vita tranquilla, anche se spesso le sue attitudini – come il passare tempo a sbronzarsi con l’amica Sheila (Sarah Silverman) vengono rimproverate dal figlio maggiore Henry. Susan sarebbe persa senza di lui.

Se inizialmente ci viene presentato come un intenso crime-drama, Il libro di Henry prende inaspettatamente un’altra piega e assumere le sembianze di una sorta di melodramma familiare. Purtroppo le premesse per qualcosa di diverso c’erano tutte, e le tematiche potevano essere affrontate in maniera molto diversa: si parla di omertà, di incomprensioni sociali e del dolore della perdita. Neanche le povere caratterizzazioni dei personaggi aiutano a sviluppare al meglio una storia che vorrebbe creare qualcosa di straordinario, perché ha del potenziale, ma non riesce ad esprimersi. Ed è un peccato. “L’eredità non è quanti zeri abbiamo sul conto in banca, ma le persone che abbiamo accanto e cosa gli possiamo lasciare.

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Linguista, aspirante giornalista, amante del cinema, malata di serie tv, in particolare dei crime polizieschi.