SIPARIO SULLA 35ESIMA EDIZIONE DEL TORINO FILM FESTIVAL DIRETTO DA EMANUELA MARTINI
Il 35esimo Torino Film Festival si è concluso. Dopo nove intensi giorni il Festival mantiene la sua identità, al netto delle polemiche sui tagli di budget e di sale. Emanuela Martini, direttrice da dieci anni – si dice disponibile a continuare il lavoro, ma di fatto ancora non ha in mano il mandato formale.
EMILY BEECHAM per il film DAPHNE di Peter Mackie Burns (UK, 2017)
e MOON SHAVIT per il film AL TISHKECHI OTI / DON’T FORGET ME di Ram Nehari, Premio per il Miglior attore a NITAI GVIRTZ per il film AL TISHKECHI OTI / DON’T FORGET ME di Ram Nehari,
Premio per la Miglior sceneggiatura a KISS AND CRY di Chloé Mahieu e Lila Pinell (Francia, 2017), Menzione speciale della giuria a KISS AND CRY di Chloé Mahieu e Lila Pinell (Francia, 2017) e LORELLO E BRUNELLO di Jacopo Quadri (Italia, 2017), Premio del pubblico a
À VOIX HAUTE / SPEAK-UP! di Stéphane De Freitas (Francia, 2017).
Ma al di là del concorso, le varie sezioni sono state ricche di film, per tutti i gusti. Il pubblico, non solo di addetti ai lavori e critici, ha spesso riempito le sale, ed una delle caratteristiche che più amo di questo festival è vedere, la mattina, un pubblico di over-over 60 che esce da una sala per infilarsi in un’altra, facendo commenti sulle opere e registi, ma anche sulle sensazioni, e i ricordi, se si tratta di film vecchi, magari visti per la prima volta in momenti intensi della loro vita.
La bellezza di un festival dedicato soprattutto al cinema indipendente, che offre retrospettive magiche, come quella dedicata a Brian De Palma, è proprio questa: coinvolgere trasversalmente un pubblico di universitari, appassionati, cinefili, e signore e signori “della porta accanto”, che sfidano il freddo del mattino per entrare in sala e rivedere Scarface o emozionarsi per un film nuovo, di cui non sanno nulla. Ogni volta che vedo questo tipo di partecipazione sogghigno al pensiero delle frasi come “la fruizione del cinema sta cambiando, bisogna adattarsi”. Certo, un numero sempre crescente di persone guarda i film su pc o tv in casa, ma la magia del rituale della sala, questa no, è insostituibile. E non succede solo a Torino, Berlino per esempio ha un festival disseminato per tutta la città, e i biglietti sono esauriti spesso al secondo giorno.
Vorrei parlarvi di qualche film che raccontando storie lontane nel tempo ha affrontato temi contemporanei e scottanti, come quello della figura della donna, apparentemente arrivata ad una parità formale, ma sostanzialmente sempre in lotta per dover dimostrare di essere in grado di fare bene molti lavori, di meritare di essere retribuite allo stesso modo dei colleghi maschi, di avere diritto ad una carriera anche dopo essere diventate madri.
Per esempio Mary Shelley (Sezione Festa Mobile) di Haifaa Al-Mansour (prima donna regista dell’Arabia Saudita, alla sua opera seconda), che racconta la storia di Mary Godwin Wollstonecraft, figlia di un filosofo e libraio londinese e della prima teorica femminista, morta dandola alla luce. Mary, appena sedicenne, incontra il poeta Percy B. Shelley e se innamora, senza sapere che fosse già sposato. Attraverso questo incontro e le scelte sofferenti che ne derivano per viverlo appieno, la giovane donna trova la sua cifra creativa e letteraria, ma riesce a pubblicare il libro Frankenstein (o il Moderno Prometeus) in prima istanza solo con la firma del compagno, per poi ottenere, solo dopo, il riconoscimento della maternità dell’opera. Film prevalentemente dedicato ad un pubblico teen e post adolescenziale, offre però una rilettura interessante dell’opera dark Frankenstein, mostro sofferente che rappresenta il tentativo di superare il trauma dell’abbandono.
Femminilità schiacciata anche in Professor Marston & the wonder women, di Angela Robinson, ambientato negli anni ’20, Usa. Qui, una coppia di accademici belli e mentalmente liberi, lui con la cattedra di psicologia e lei no (essendo donna) all’Università Tufts del Massachussets, studiano e condividono teorie progressiste sulla sessualità. Innamorandosi entrambi di una loro studentessa, vivono una storia d’amore inaccettabile per i canoni sociali, e quindi vengono respinti dal mondo accademico e non solo. Lo studioso, ispirato dalle loro scelte e dalle due donne della sua vita, inventa la figura di Wonder Woman per far passare la sua teoria in campo psicologico, ma anche in questo caso, le immagini provocanti del personaggio li mettono in una nuova situazione di non accettazione sociale.
Non vi racconto la fine, basti vedere che Wonder Woman resta la super eroe donna più conosciuta al mondo. In concorso Barrage, di Laura Schroeder, storia familiare di tre generazioni di donne (nonna, figlia, nipote) in cui emerge l’umana difficoltà attorno al ruolo di madre, dato per scontato e poco valorizzato socialmente, passando poi per Un beau soleil interieur di Claire Denis, con Juliette Binoche nei panni di una donna parigina apparentemente libera e disinibita, in realtà alla ricerca di sé e di un amore vero, raccontata con sarcasmo e gentilezza, sceneggiata insieme alla scrittrice Christine Angot, ispirandosi a Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes (amabili i cameo di Depardieu e Valeria Bruni Tedeschi). E se di donne parliamo, non possiamo dimenticare Riccardo va a morire di Roberta Torre, che regala un’opera dark e rock sfidando il tanto “acclamato” cinema italiano borghese e da bar.
Un viaggio nel mondo femminile scritto e diretto da donne, che mi ha davvero rincuorata, anche se la percentuale di registe rimane di molto inferiore a quella dei registi. Viaggio impreziosito dalla presenza di Asia Argento, guest director che ha curato la sezione Amerikana, e ha tenuto una conferenza stampa molto schietta, in cui ha ribadito le sue scelte, il suo ruolo di donna e madre lavoratrice, rifiutando ogni forma di sciacallaggio e pettegolezzo sulla storia di violenza e molestia che ha raccontato, con grande coraggio.
Lasciando ora le donne, merita attenzione Balon di Pasquale Scimeca, premiato con il premio collaterale Gli occhiali di Gandhi, che sceglie di raccontare l’Africa attraverso gli occhi dei più piccoli. La retrospettiva De Palma merita un pezzo a parte, posso solo dire che rivederlo in sala è stato un viaggio tra ironia, thriller, erotismo, lezioni di cinema. In attesa di conoscere le sorti del Torino Film Festival, sento già nostalgia di quel freddo pungente dopo film che scaldano il cuore o lo mettono in completo subbuglio.