THE POST, 31ESIMA PELLICOLA DI STEVEN SPIELBERG, IMPERDIBILE, GRAZIE ANCHE ALLA COPPIA DA OSCAR STREEP/HANKS
GENERE: biografico
DURATA: 118 minuti
USCITA IN SALA: 1 febbraio 2018
VOTO: 5 su 5
Una pressa che manda in stampa un giornale, la musica in sottofondo, la velocità, le mazzette del Washington Post scaricate dalla camionetta, la gente che corre a prenderle. Emozione pura di fronte alla maestria con cui Steven Spielberg ci porta dentro il racconto della prima grande scossa della storia dell’informazione, quella dei Pentagon Papers, una fuga di notizie senza precedenti, che svelò al mondo i segreti governativi sulla Guerra in Vietnam. E’ questa la storia di The Post, in sala dal 1 febbraio. Imperdibile.
Nel 1971 Katherine Graham è la prima donna alla guida del Washington Post, in un mondo maschile e tendenzialmente maschilista. Spielberg sceglie l’infallibile Maryl Streep per interpretare una donna piena di dubbi e incertezze, di grandi sentimenti e una forza che si rivelerà al di là delle aspettative di tutti. Accanto a lei Tom Hanks, che con un ciuffo da un lato dà corpo e voce a Ben Bradlee, il cocciuto direttore del giornale. Una coppia di attori vincente che riesce a farci dimenticare chi sono e ci porta dritti in redazione, con un livello di tensione emotiva e coscienza storica da capogiro. Con loro l’inconfondibile Bob Odenkirk nei panni di Ben Bagdikian, il giornalista che scova la fonte e porta a casa il risultato scottante.
Ed è così che il regista ci porta a casa del direttore, dove un manipolo di cronisti studiano i Pentagon Papers (7000 pagine) in poche ore e scrivono, lottando per garantire la libertà di informazione e di stampa, mentre la moglie di Ben, Tony Bradlee (una incisiva Sarah Paulson) prepara sandwich per tutti e la piccola figlia vende spremute di limone, come nella tipica famiglia americana che si rispetti.
Temi politici, sociali e civili di prima importanza, raccontati anche attraverso il rapporto emotivo tra i personaggi, come l’amicizia tra l’editrice Graham e il Ministro McNamara (Bruce Greenwood), responsabile della stesura dei Pentagon Papers.
Personaggi che mettono a rischio la loro carriera e la loro libertà in nome di una verità nascosta per anni, eroi pronti ad una battaglia legale senza eguali, trascinando dietro di sé molte altre testate, portando la Suprema Corte ad esprimersi così: “Nel primo emendamento i Padri Fondatori hanno garantito alla libertà di stampa la protezione che deve avere per svolgere il suo ruolo essenziale nella nostra democrazia. La stampa doveva essere al servizio dei governati, non dei governatori….”.
Ed è con la fotografia di Janus Kaminski, la sceneggiatura di Liz Hannah e Josh Singer, le musiche di John Williams, che questa storia nella storia ci trascina nel desiderio di onestà, libertà, schiena dritta, diritti. Spielberg è capace di tutto ciò. Lunga vita a Steven e alla magia del suo cinema. Long Life!