Marco Bellocchio, omaggio dal British Film Institute

INTERVISTA MARCO BELLOCCHIO PER L’INAUGURAZIONE DELLA RETROSPETTIVA AL BRITISH FILM INSTITUTE

BellocchioChe effetto fa tornare a Londra, tanti anni dopo che lei ha studiato qui, per una retrospettiva del British Film Institute sul suo lavoro?

Beh la stessa emozione di quando ritrovi alcuni luoghi che hai particolarmente frequentato. Purtroppo il tempo è breve, tra albergo e ristorante. Nel luogo che è stato la mia scuola, la SLADE School of Fine Arts, c’era un cinema department, grazie al direttore che era ed è un regista britannico. Ma non era come il centro sperimentale che era invece una scuola più classica. Adesso che sono tornato in questa occasione, mi hanno fatto vedere la tesi; rivedere questa scuola e il suo colonnato mi ha particolarmente emozionato. Poi a Londra sono tornato tante volte, al London Film Festival, a presentare i miei film e per attività di stampa. Purtroppo non potrò esserci per tutta la durata di questa retrospettiva, ma per me è come se quello che tu hai fatto, in qualche modo, dimostra di interessare ad altri popoli e culture.

Qual è il suo rapporto col pubblico straniero?

Ce l’ho e non ce l’ho. Magari vengo a fare un piccolo dibattito. Se mi riferisco alla Francia, il gradimento si vede anche dagli ingressi. Alcune volte ci sono dei miei film che hanno avuto più successo in Francia che in Italia. Se guardo i risultati, ad esempio con Diavolo In Corpo o all’ultimo, Fai Bei Sogni, in Francia ha avuto lo stesso risultato che in Italia.

Però, concorderà che i Suoi film sono spesso prettamente ispirati a delle vicende storiche, sociali italiane. Secondo lei comprendono tutte le sfaccettature dei suoi film?

Alcuni vengono accettati con entusiasmo. Il mio primo film, I Pugni In Tasca, ambientato in un paese non meglio identificato mi sembrava il soggetto più estraneo ad una società inglese ma evidentemente rappresentava dei temi, personaggi e affetti che loro hanno subito riconosciuto. O anche film più politici, come Buongiorno, Notte. E’ un pubblico straniero, quello inglese, per me del tutto imprevedibile. Io vado per conto mio, poi se piace, bene.

Con più di venti film alle spalle, Lei è sicuramente uno fra i più prolifici registi italiani contemporanei, ma i suoi film hanno trame e tematiche molto diverse. In definitiva, che cosa la ispira?

Quando ho iniziato era come se avessi la necessità di essere molto legato ad esperienze mie personali. Poi, con l’esperienza, mi è capitato di ricevere proposte di film, come Buongiorno, Notte, oppure anche altri titoli che mi sono stati suggeriti; mentre adesso sento la capacità di mettere all’interno di questi soggetti dei sentimenti miei, mie paure, e quindi a personalizzarli dall’esterno. Se penso a Il Principe di Homburg, se penso a La Balia, è un lavoro, ripeto, di personalizzazione dall’esterno. Ma alla fine cerco sempre di trovare delle tematiche che riconosco, in cui mi riconosco, altrimenti i film sono freddi.

Quanto ci vuole dall’idea alla realizzazione?

Magari la prima idea ce l’hai dieci anni prima, poi la perdi, o la guadagni. Non è mai lineare. Se penso al mio primo film, ne ho scritto la sceneggiatura proprio qui a Londra, in poco tempo, e poi alla fine dell’anno l’abbiamo girato; però questa idea si elaborava nella mia mente già da molto tempo. Ci sono delle idee, delle cosiddette illuminazioni, che poi però perdi; poi, dopo qualche anno, una coincidenza, anche storica o esterna, te le fa riemergere.

Secondo lei come si piazza il cinema italiano oggi? Vede delle promesse per il futuro?

Io sono cresciuto in un cinema in cui c’erano Fellini, Antonioni, Bertolucci, Pasolini, c’erano i fratelli Taviani, quasi tutti sono scomparsi. Allora il confine siamo io, Bertolucci, Tullio Giordana. Bisogna considerare anche le generazioni, pensiamo a Moretti o ai registi che si sono affermati in questi anni come Garrone, Sorrentino, Rochwacher e poi ci sono i più giovani, che spesso perdo, non andando purtroppo a vedere tutti i film. C’è una nuova generazione in gamba, che anche per il fatto di girare film con facilità, parlando di budget più piccoli, sono il nuovo cinema italiano e questo è l’avvenire.

Ci sono attori, di tutti quelli con cui ha lavorato, con cui conserva un bel rapporto?

Non voglio fare torti a nessuno, però sicuramente ci sono attori con cui, come tutti i rapporti umani, ho trovato un rapporto di confidenza, entusiasmo, approfondimento. A me piace lavorare con attori che vorrei non fossero solo professionisti, di volta in volta giovani o meno giovani, sono quelli con cui ho lavorato nei miei ultimi film. Sarebbe sgradevole fare delle scelte. Io cerco di scegliere degli attori per la loro grandezza, per la loro bravura, per la loro onestà e passione. Un grande attore che viene a lavorare sostanzialmente con poca passione, no, non mi interessa.

Il suo ultimo film risale al 2016, ce ne sono altri in cantiere? 

Sì, possiamo solo citarli. Dovrei fare questo film, Il Traditore, sulla vita di Tommaso Buscetta, questo mafioso che decide di collaborare con lo Stato. Il tema è questo e sarà il mio prossimo film.

Se lo aspettava che un giorno il BFI le avrebbe dedicato una retrospettiva del genere?

Aspettarmelo no, ma nella mia vita cerco di concentrarmi sul lavoro presente. Però quando mi hanno detto questo, sono stato ben lieto di collaborare, mi sembra più che giusto, se un’istituzione di questa importanza ti cerca, avere un atteggiamento di collaborazione, partecipazione, gratitudine.

I film che saranno proiettati al BFI e all’Institut Français in questi giorni li ha scelti lei?

I film sono stati scelti da loro, penso che loro conoscano il loro pubblico e quindi si sono fatti delle domande su cosa presentare del mio lavoro. Penso sia stata un’ottima scelta, rappresentativa del mio lavoro.
ALESSANDRA GONNELLA

 

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