INTERVISTA A VALERIA GOLINO DURANTE IL FESTIVAL CINEMA MADE IN ITALY DI LONDRA
Abbiamo incontrato Valeria Golino in occasione della kermesse Cinema Made in Italy a Londra per presentare Euforia al pubblico straniero, all’alba dell’annuncio delle nomination per i David di Donatello, per cui il suo film è nominato per miglior regia, miglior film, miglior sceneggiatura.
Cominciamo con la nomina ai David di Donatello come miglior regista, ma anche Euforia come miglior film e miglior sceneggiatura.
Sono molto contenta del montaggio, dei due attori (Riccardo Scamarcio e Valerio Mastandrea, ndr). E’ sempre allegrissimo quando vieni nominato, poi quasi sicuramente non vincerò niente perché sono con dei bellissimi film. Sono molto contenta di stare in una bella cinquina, ecco; preferisco perdere con dei bei film che vincere in mezzo alla mediocrità. Però sono molto contenta, sono delle nomination importanti.
Ha seguito la polemica di Gabriele Muccino, che si è detto irritato per non essere stato nominato per i David, nonostante il suo film sia stato il maggiore incasso dell’anno?
No, non l’ho sentita. Gabriele è un signor regista, ma anche Sorrentino non è stato nominato né come regista né come miglior film. Succede a tutti ad un certo punto di non essere nominati e succede spesso di non vincere. Io sono stata nominata 12 volte e vinto 2 in trent’anni, quindi, capisco. Sai che cos’è? che quando fai un film, c’è talmente tanto lavoro, c’è talmente tanto della tua personalità, della tua passione, e poi il film è andato tanto bene. Lo capisco, capisco che abbia avuto coraggio e l’abbia detto, perché di solito quando siamo scontenti non lo diciamo. Detto questo, non è che siccome il film ha fatto tanti soldi, dovrebbe essere nominato, anzi, questo è il problema di solito; che si diano i premi a film che sono stati popolari. Non dovrebbe essere questo il criterio, se poi il film è andato bene, tanto meglio, ma il criterio principale dovrebbe essere se il film è bello o meno, in teoria.
In Euforia c’è questo senso di leggerezza superficiale che poi va a scavare su temi molto più profondi che però vengono fuori in momenti, in peaks; come hai lavorato sulla profondità di questo film, lo sviluppo della tematica?
Sai, per me era più facile il lavoro sulla profondità che non sulla superficie, perché i temi erano già così gravì, così seri. Il mio lavoro ha tentato di trattare dei temi che sono anche degli archetipi se vogliamo, della drammaturgia, quasi biblici, però tentando di non cadere nella retorica, cercando di spostarmi e vedere un altro punto di vista, che non è il primo a cui penso. Quello che mi ha preoccupato era proprio la superficie; ho chiamato il mio film Euforia, doveva essere un contenitore pieno di colori, di superficialità, di distrazione, con dentro una cosa molto grave. Questa parte superficiale era quella che mi preoccupava di più.
Infatti ti distrae, ti dimentichi quasi del tema molto forte che c’è alla fine, perché anche Matteo se ne dimentica, cerca di evitare.
Vuole farlo dimenticare e dimenticarsene. E’ un film infatti anche sulla rimozione della morte di una persona cara ma anche della propria morte, perché quando abbiamo una persona cara che rischia di scomparire o che eventualmente scompare, è un campanello della propria mortalità. È un film sulla rimozione, che noi tutti abbiamo, che io sento nel mio mondo: questo evitare di pensare alla morte.
Leggevo in un’intervista di Cannes che lei si limita a fare i film che è in grado di fare e non quelli che vorrebbe fare. Perché fare un film è molto complesso in generale come dicevamo prima o perché è complesso essere nella posizione dell’attrice e regista donna e i limiti sono maggiori?
Credo che adesso essere donna anziché essere un ostacolo, sia un vantaggio; siamo passati da un periodo in cui non ci facevano fare niente ad adesso in cui ci vogliono far fare tutto. Forse si arriverà con il giusto equilibrio ad un momento in cui non ci sentiremo più una specie protetta e non bisognerà più parlarne. Sarà naturale guadagnare gli stessi soldi degli uomini, sarà naturale avere le stesse opportunità senza cadere in questa cosa propagandistica, che in questo momento serve molto per far lavorare di più le donne, anche se rischia di essere una cosa da “specie protetta”.
Però è vero, anche mentre disegno, disegno solo le cose che so disegnare, e sono spesso le stesse cose, perché in qualche modo la tua fantasia si sviluppa in quel modo, quando impari una cosa. certo che vorrei fare delle cose bellissime e diverse ma non le so fare. Disegno sempre le stesse facce. Nei film, certo che vorrei essere Kubrick, ma alla fine le cose che mi interessano, le mie piccole ossessioni, sono quelle che so fare io ed è anche vero che in Italia siamo abituati a censurare la nostra fantasia, adesso c’è un nuovo trend di libertà, vengono dati ai nuovi registi più mezzi ma per molto tempo i film che ho fatto io come attrice erano molto limitati dal budget, dalle locations che dovevano essere poche e in certi posti; quindi le storie erano limitate ancora prima di arrivare a proporle.
E adesso si sentirebbe di azzardare di più?
Adesso semmai avrò di nuovo un’idea, perché sono in quel momento in cui ho paura di non avere mai più un’idea. Sto ricominciando a pensare che cosa fare, però qualcosa uscirà. Vorrei potermi allargare orizzontalmente, anche per esempio con altre lingue e altri Paesi perché ho vissuto sempre un po’ lì e un po’ qui e sarebbe un peccato non trarne vantaggio per metterle sullo schermo.
A CURA DI ALESSANDRA GONNELLA