EDDIE MURPHY SI RACCONTA INSIEME AL CAST DEL FILM “DOLEMITE IS MY NAME”
Eddie Murphy sta vivendo una vera e propria rinascita artistica: un trionfale ritorno a Saturday Night Live (personaggi vecchi e nuovi; lo sketch del villaggio di Babbo Natale è comicità pura), il progetto di un nuovo spettacolo dal vivo, una nomination ai Golden Globes e un’imminente e più che probabile candidatura come miglior attore agli Oscar. Il film che lo ha riportato sulla bocca di tutti è Dolemite is my name, già dal 25 ottobre scorso disponibile su Netflix. La storia vera di Rudy Ray Moore, un comico degli anni ’70, di nicchia, scurrile e diretto, idolo tra gli afro-americani di quel periodo, che data la sua natura particolare non ha mai sfondato nel mainstream. Tuttavia è stato di grande ispirazione a tanti comici che lo hanno seguito, non ultimo Murphy. Andiamo a scoprire i retroscena di questa spassosa pellicola, attraverso le parole dei suoi protagonisti.
Uno degli aspetti fondamentali che emergono dal film è la lotta costante di Rudy Ray Moore per farsi notare, per farsi spazio in un ambiente spietato, dove la competizione è altissima. Anche per il cast di Dolemite ci sono stati tempi poco rosei. “Ho avuto i miei momenti”, racconta Wesley Snipes. “Quando ho iniziato a muovere i primi passi a New York la parte più difficile era convincere che un attore di colore, come me, potesse fare un ruolo aldilà dei soliti rapinatori o simili. Per fargli cambiare idea mi sono dovuto vestire da donna, in To Wong Foo”.
Gli fa eco Da’Vine Joy Randolph, la quale interpreta Lady Reed: “La mia carriera è ancora agli inizi. Mi ricordo durante una recita sulla schiavitù degli afroamericani, i cosiddetti ‘Nero Spiritual’, ero l’unica ragazza di colore della scuola e non mi venne assegnato l’assolo. Così non va bene, fatemi cantare. C’è sempre da battagliare. Per una donna di colore di una certa stazza poi è sempre una sfida. Ma prima di tutto mi interessa essere un essere umano, non uno stereotipo”.
Murphy, invece sembra essere l’eccezione alla regola. “Per me è stato facile, tutto è successo molto velocemente. Quando avevo diciotto anni ho fatto l’audizione per Saturday Night Live e sono entrato subito in trasmissione. Da allora non mi sono più fermato”.
Difficile da credersi, ma in tutti questi anni Eddie Murphy e Wesley Snipes non hanno mai condiviso lo schermo. “Ci sono andato vicino”, dice Snipes. “Ho fatto il provino per Il Principe Cerca Moglie ed ero sicuro che avrebbe dato una svolta alla mia carriera. Ma non ho ottenuto la parte. La prese Eriq La Salle. Anche Mario Van Peebles lesse per lo stesso ruolo, il quale anni dopo finì per dirigermi in New Jack City”. Murphy: “Ma aspettate di vederlo in Il Principe Cerca Moglie 2. Meglio tardi che mai”.
Ci sono voluti sedici anni a Eddie Murphy per portare sullo schermo la storia di Rudy Ray Moore. Murphy ne è fan dalla prima ora, ma è curioso come sia stato Moore a cercarlo per primo, quando le luci della ribalta sembravano avergli nuovamente voltato le spalle. “La prima volta che l’ho incontrato è stato mentre stavo girando 48 ore a Downtown Los Angeles. Parliamo di più di trent’anni fa, era il 1981. Da lontano sento una voce, ‘toglietemi quelle luride mani di dosso’. Mi giro e dico, ‘Sembra Rudy Ray Moore. Diamine, è Rudy Ray Moore!’. Aveva l’aspetto di un senzatetto. Stava cercando di entrare nel set, ma era stato fermato dalle guardie. Successivamente sono andato a vederlo ad ogni occasione di uno spettacolo in città. Si era dato una ripulita e aveva ripreso a fare stand up. Per anni sono stato un suo ammiratore, visto la sua roba, ascoltato i suoi dischi. Difatti quando è stato il momento di replicare i celebri sketch, Signifying Monkey e Dolemite, li sapevo già tutti a memoria. Quando ho iniziato a fare i miei film e ho scoperto come lui aveva girato i suoi, mi sono appassionato ancora di più. Ho pensato che la sua vita fosse una grande storia da raccontare al cinema. E che gli scrittori di Ed Wood sarebbero stati perfetti”.
Per Da’Vine Joy Randolph è stata particolarmente significativa una delle scene finali, nella quale Lady Reed mostra la sua gratitudine a Moore per averla inserita nel film. “C’è un ovvio parallelismo con me stessa. Il regista Craig Brewer l’aveva piazzata alla fine delle riprese e continuava a dirmi questo sarà il tuo momento, il momento della tua verità. Arriviamo sul set e ci sono elicotteri, cani che abbaiano, di tutto a rovinare la poesia. Ma per me rimane importante a livello viscerale, rappresentare quel tipo di donna sullo schermo”.
La grande forza del personaggio Dolemite sta nella smisurata passione e nella sincerità che lo hanno contraddistinto. Non si può dire lo stesso di D’Urville Martin, l’attore “di serie B”, reclutato da Moore per dirigere il suo film, qui interpretato da Snipes. “Nessuno ha un buon ricordo di D’Urville, per come si comportò sul set. Ma non volevo demonizzarlo, perché comunque ha contribuito al successo di quel film e al percorso artistico di Moore. Così ho imitato il suo manierismo, ma mi sono anche ispirato ad un paio di tipi del mio quartiere di gioventù”.
Conclude Eddie Murphy: “Il talento di Rudy era quello di credere in sé stesso. È quello che lo rende straordinario. Noi attori siamo tutti dei sognatori, ma abbiamo un qualcosa, un briciolo di talento. Di talento Rudy ne aveva pochissimo, non era di bella presenza, non era il comico più divertente, i suoi film erano grezzi, registrava i dischi nel salotto di casa, ma ci ha sempre creduto fino in fondo. Quello è l’ingrediente principale. Non bisogna essere un genio; bisogna crederci, non arrendersi. Stai guardando la tv, giri i canali e finisci su una scemenza quale Pomodori assassini e ti chiedi come abbiano fatto a produrre un film del genere. Perché qualcuno ci ha creduto e ha continuato a bussare alle porte. E un giorno accendi la tv ed eccolo lì”.