HUNTERS, LA SERIE TV DI AMAZON PRIME CON AL PACINO È UNO SHOW COMPLETO E DI PURO INTRATTENIMENTO
Non importa quanto soggettivo sia e quale parte archetipica si attivi in ognuno di noi davanti allo schermo, Al Pacino che picchia duro i nazisti è uno spettacolo perfetto per tutti! manager stressati e studenti serenissimi, signorine e marinai, grandi e piccini (ecco, magari i piccini non proprio, ma in fondo non è mai troppo presto per cominciare). Questa, in brevissimo, è la trama di Hunters, serie di Amazon Prime lanciata all’inizio del 2020 e composta da dieci comodi episodi di un’oretta circa.
Hunters è un omaggio alla Marvel e innumerevoli strizzatine d’occhio a Mr. Tarantino, le ambizioni dell’ideatore e sceneggiatore David Weil volano alte. Certe riflessioni sono inevitabili di fronte a un prodotto del genere, che esemplifica fedelmente il ruolo occupato dai nazisti nel nostro immaginario collettivo. A volte si fatica a credere che un piano così folle, articolato e disumano sia stato concepito davvero. Non a caso, il cinema, i fumetti e la letteratura hanno tratto ispirazione da Hitler e dal nazismo per creare molti dei propri supervillain, il cui squilibrato titanismo è un pallido riflesso di ciò che stava accadendo realmente. Ebbene, a giudicare dai primi due episodi, HUNTERS cammina in bilico proprio tra queste dimensioni: la Storia e l’immaginario, la realtà e la sua rielaborazione fantastica.
Nonostante l’età potrebbe suggerire il contrario, David Weil non è estraneo al dramma della Shoah. E non nella misura in cui lo siamo un po’ tutti. L’ideatore aveva 6 anni quando lui e i suoi fratelli si radunarono attorno alla nonna, sopravvissuta all’Olocausto, per ascoltare le sue terribili storie. Era la prima volta che sentiva parlare dei nazisti e della Seconda Guerra Mondiale. Così, le elaborò nell’unico modo in cui poteva. Le immaginò come storie di fumetti, storie sul bene contro il male e quella diventò la lente attraverso la quale vide l’Olocausto.
L’esordiente David Weil ha creato la serie ispirandosi ai racconti di sua nonna, ma ovviamente li ha trasfigurati attraverso la sensibilità di un giovane creativo cresciuto a pane e fumetti, come si evince dalle numerose citazioni di supereroi e supercattivi che affollano i dialoghi. I cacciatori di nazisti equivalgono per lui a supereroi in carne e ossa. Lo show gioca proprio su questo concetto: la caccia ai criminali nazisti è uno dei rari casi in cui ci si possa concedere un po’ di manicheismo, soprattutto considerando l’impostazione della trama.
Il gruppo è composto da individui molto coloriti, tra cui un reduce del Vietnam, una suora inglese (ex spia dei servizi segreti) e un attore specializzato in travestimenti. Jonah insiste per entrare nella banda, che scopre una rete di ex gerarchi del Terzo Reich nascosti negli Stati Uniti sotto mentite spoglie, talvolta con importanti cariche istituzionali: guidati da uno spietato Colonnello (Lena Olin), il loro scopo è fondare il Quarto Reich sul suolo americano, ma ovviamente Meyer, Jonah e gli altri faranno di tutto per impedirlo.
L’esasperazione “fumettistica” è palese fin dalla trama e si riverbera anche sulla caratterizzazione dei personaggi. Weil opta infatti per una stilizzazione molto marcata: ognuno è riconducibile a una tipologia etnico-sociale, tant’è che la varietà etnica non si giustifica solo nel politicamente corretto, ma anche nella differenziazione iconica degli eroi. Come nei fumetti, ognuno di loro è riconoscibile da varie caratteristiche fisiche e attitudinali, con tanto di presentazioni in stile exploitation (frutto della fantasia di Jonah). Gli stessi nazisti assumono tratti parossistici, ben lontani dalla “banalità del male” di cui parlava Arendt. Sono visceralmente crudeli, freddi come Terminator (è il caso dell’inquietante sicario interpretato da Greg Austin) o macchiettistici nella loro intrinseca follia (il Biff Simpson di Dylan Baker, che scimmiotta lo stereotipo americano per nascondere il suo fanatismo).
Agevolato dai suoi schematismi, HUNTERS esorcizza gli orrori della Storia con la stessa brutalità dei cacciatori, puntando a quel genere di catarsi collettiva che solo l’arte popolare è in grado di offrire.