IL PRINCIPE CERCA FIGLIO, EDDIE MURPHY IN UN SEQUEL CHE RISULTA ESSERE UNA MINESTRA RISCALDATA SENZA GRANDI SPUNTI
DURATA: 110 minuti
USCITA: 4 marzo 2021
VOTO: 2 su 5
Dopo Dolemite Is My Name ci avevamo davvero creduto. Che Eddie Murphy avesse ritrovato lo smalto di un tempo. Che si potesse fare un sequel degno di nota a trent’anni di distanza. Che davvero si fosse aspettato il momento giusto, quello di una sceneggiatura perfetta. E invece.
Il principe cerca figlio, sia nella sua accezione italiana che nel titolo originale, tradisce da subito le aspettative: in America ci vanno, sì, ma per un brevissimo lasso di tempo; il figlio lo trova più velocemente di quanto ci si mette a pronunciare il suddetto titolo. La stragrande maggioranza del film si svolge nel fittizio mondo di Zamunda, ricalcando come un orologio svizzero i passi del precedente capitolo, spesso con i personaggi in ruoli invertiti. Non è il principe Akeem che grida ‘Buongiorno’ dal balcone del Queens, ma il figlio che offre lo stesso saluto agli animali selvatici di Zamunda. Non è il principe Akeem a fare il bagno nella vasca con “benefici” aggiunti, ma figlio e madre. Si potrebbe andare avanti con i paragoni all’infinito. I richiami vanno bene, ma il riciclo totale della sceneggiatura no.
Il principe Akeem è diventato tale e quale al padre, preoccupato più di seguire le tradizioni, piuttosto che incoraggiare il figlio ritrovato nella ricerca dell’amore vero. Esattamente la stessa trama, con anche le stesse pause e le stesse battute. Il sequel fotocopia. Non solo, lì dove la memoria fallisce, viene inserito pure un riassunto della puntata precedente, con tanto di espansione narrativa, dopotutto con le nuove tecnologie si può ringiovanire chiunque.
Ma forse, forse, quello che più rammarica è che, fatta eccezioni per due occasioni isolate, non si ride. Un Eddie Murphy appesantito si trascina svogliato per il film, con lo sguardo stanco di quello che ha già sentito le battute mille volte. Se non è convinto lui stesso, come può esserlo il pubblico? La pigrizia con cui scenette e battute sono scritte si può riassumere nella scena post titoli di coda. Dove nel primo film c’era una delle barzellette più belle, che ancora oggi viene citata, qui si ricicla la filastrocca di Rudy Ray Moore in Dolemite. Volete farci credere che era più importante citare l’ultimo successo commerciale piuttosto che tirare fuori qualcosa di originale che facesse ridere? Non ci siamo Eddie, non ci siamo.
Come si fa a passare da un film talmente ispirato come Dolemite, che lasciava tanto ben sperare per il futuro, a questa minestra riscaldata. L’unico che sembra davvero divertirsi è Wesley Snipes. L’attore sembra essere in un film tutto suo, si diletta in balletti e ammiccamenti, se ne frega della trama ed è contento solo per il fatto di far parte della brigata. A questo punto lasciate in pace Beverly Hills Cop, che di seguiti malriusciti ne ha già avuti abbastanza.