Blonde: recensione

LA FANTASTICA INTERPRETAZIONE DI ANA DE ARMAS FATICA A SOPPERIRE LA MANO PESANTE DI UN FILM INCENTRATO SULL’ABUSO EMOTIVO

Blonde-locandinaDURATA: 167 minuti

USCITA: 28 settembre 2022

VOTO: 2 su 5

Dopo tanta attesa e tanto marketing promozionale approda su Netflix (e in sale selezionate) Blonde, con Ana de Armas nei panni di Marilyn Monroe.

Diciamo subito che de Armas è straordinaria. Il suo immenso talento, già dimostrato in passato, in ruoli piccoli e grandi, è indiscutibile. La ragazza non è un fuoco di paglia, anzi. Si può leggere qualsiasi emozione della Monroe sul suo volto, dalla finta ingenuità, all’ambizione da attrice, dalla voglia di migliorarsi, alla ricerca di quell’amore che, nonostante amanti, mariti e fan in adulazione, non ha mai ottenuto veramente. Ma è il film a porre De Armas in una strana posizione. Per quanto l’attrice sia brava il film cerca costantemente di strapparle il tappeto da sotto i piedi.

Non è mai bello fare paragoni, ma eravamo dell’idea che il film su Marilyn Monroe con Michelle Williams del 2011 (My Week with Marilyn), avesse posto la parola fine sulla vita travagliata di questa icona mondiale, adorata da cinefili e non. Invece sembra esserci una voglia morbosa di ritirare fuori un passato doloroso, senza peraltro aggiungere niente di nuovo.

Blonde pone l’attenzione quasi esclusivamente sull’abuso emotivo subito da Marilyn. Da piccola per mano della madre, da grande per mano di un sistema patriarcale, del quale non si salva nessuno, produttori, mariti, amici, amanti. Marilyn così come è presentata nel film è sola. Sola contro tutti, sola alla mercé di chiunque se ne voglia approfittare e tenersene un pezzettino per sé.

Lungi dal volere essere una biografia veritiera in tutto e per tutto, molti dei fatti presentati sono elaborazioni di pura fantasia mescolati alla realtà, è la scelta di presentare l’attrice in un certo modo che non rende giustizia alla donna che Marilyn è stata. Con le sue quasi tre ore di durata, il film diventa un viaggio estenuante quasi ad infliggere allo spettatore lo stesso dolore provato dalla Monroe. Anzi rende il pubblico partecipe e complice dell’abuso emotivo. Forse l’obiettivo era proprio quello, ma a chi spetta l’espiazione di tale peccato?

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