DISPONIBILE SU NETFLIX LA SERIE ITALIANA SU LIDIA POET, LA PRIMA PRIMA AVVOCATA DEL NOSTRO PAESE, INTERPRETATA DA MATILDA DE ANGELIS. ESPERIMENTO RIUSCITO?
Probabilmente la maggior parte di noi, prima di questi giorni, non aveva mai sentito parlare di Lidia Poët, prima avvocata italiana vissuta nella Torino di fine Ottocento e che ha dovuto battersi per ben 40 anni prima di vedersi riconosciuto il diritto di essere iscritta all’Ordine e quindi di poter esercitare (laureatasi nel 1881, solo con la Legge Sacchi del 1919, che autorizzava le donne a entrare nei pubblici uffici). Rifiutata dai colleghi, insomma, perché donna. Netflix riprende la sua storia per trasformarla in una serie tv di 6 episodi da 40 minuti ciascuno, portando in scena una donna tenace e coraggiosa, che lotta per la sua libertà e contro le discrimanazioni di genere sul lavoro e in ambito privato.
Ogni episodio di La legge di Lidia Poët è un piccolo crime, con il “giallo del giorno”, per dirla in modo molto semplicistico, che naturalmente Lidia (Matilda De Angelis) risolve con prontezza e perspicacia, conquistando la fiducia del fratello e dei suoi clienti, maggiormente donne schicciate da una società patriarcale. Ma conquista anche il giornalista Jacopo Barberis (Eduardo Scarpetta), dopo aver già rubato il cuore del giramondo Andrea (Dario Aita) che vorrebbe farsi seguire negli Stati Uniti, dove Lidia potrebbe essere tutto quello che vuole e avere ciò che l’Italia ancora non vuole concederle.
Di biografico rimane il necessario, ossia l’essenza della personalità della protagonista, il suo spirito combattiero e per nulla arrendevole, la sua determinazione, perché tutto il resto diventa una versione romanzata della sua storia e del suo cammino. Quindi no, non è una serie biografica che segue di pari passo eventi e accadimenti realmente accaduti. Ma non ne ha nemmeno l’ambizione, né la serie si è mai proposta di essere tale, come ammesso anche dagli autori capeggiati da Matteo Rovere (anche regista con Letizia Lamartire).
Quindi ben venga che Lidia dica ca**o o fumi oppio, o che intrattenga due storie di letto/amorose contemporaneamente (quando nella realtà sembra essere sempre rimasta sola per concentrarsi sulla carriera): come sappiamo il sottoplot romantico serve ad attirare il pubblico, ma nient’altro è che il frutto della riedizione degli autori. E anzi, proprio queste sue caratteristiche la rendono più credibile ai nostri occhi. Rendere visibili e non nascondere vizi e virtù dell’epoca, e raccontarli attraverso una colonna sonora energica e rock, in cui riconosciamo tra i tanti Florence + the machine e Thom Yorke; note che accompagnano Lidia a spingersi, spesso sola, non solo in posti da cartolina come Piazza San Carlo o tra le le vie di Torino dove si scorge la Mole Antonelliana in costruzione, ma anche in una Torino tutt’altro che santa, tra caffé, bordelli, fumerie di oppio, nascondigli di anarchici, prigioni, caserme. Insomma, non ha paura di essere donna, non è come una donna del suo tempo (basta vedere il confronto con la cognata), ma è più simile a una del terzo millennio.
Matilda ha una recitazione eccezionale, e riesce a rendere il senso di una donna potente, dominante, e non solo: lo vediamo dalle espressioni del suo viso, a volte piccolissime, leggere smorfie che sottolineano tormenti e dolori, gioie e godimenti, rabbia e sollievo, tutto senza censure. Insomma, è vera, sul serio.