ALLA VIGILIA DELLA STELLA SULLA HOLLYWOOD WALK FAME, GIANNINI RACCONTA LA SUA INEGUAGLIABILE CARRIERA.
Giancarlo Giannini, una vera e propria istituzione del Cinema Italiano, tra i nostri più grandi attori, tra i nostri più grandi doppiatori. Amato e rispettato in tutto il mondo riceve, finalmente diciamo noi, la stella sulla Hollywood Walk of Fame. Come ha già fatto presente lo stesso Giannini in più di un’occasione, ci volevano gli americani per un riconoscimento tale. Anche Lina Wertmüller, quando ha ricevuto la stella sembrava essere stata dimenticata dal pubblico italiano. O basti vedere quello che sta succedendo a Sabrina Impacciatore di recente, un talento a volte dato per scontato dal pubblico di casa, che invece adesso gli americani portano su un palmo di mano, dopo la serie White Lotus. Nemo propheta in patria, come si suol dire.
Giannini, nonostante un arrivo a Los Angeles non proprio dei migliori a causa della perdita del bagaglio, si dimostra in grande spirito quando lo incontriamo all’hotel Hilton di Beverly Hills. Rilassato al bordo della piscina, si dichiara contento sia del premio che si appresta a ricevere da Filming Italy LA, il festival italiano organizzato da Tiziana Rocca, che della celebre stella sulla Hollywood Walk of Fame. “La stella è un riconoscimento importante. Ho ricevuto tanti premi nella vita, la stella è molto meglio di un Oscar, secondo me. Un Oscar te lo danno per un film, questa te la danno perché sei star, forever. Camminerò sul marciapiede di notte e sarò contento”.
Con una carriera come la sua che ha fatto davvero la Storia del Cinema, Giannini ne avrebbe di storie di raccontare. Le sue interpretazioni sono sotto gli occhi di tutti, cerchiamo allora di farci rivelare qualche retroscena non troppo conosciuto. Partendo dalla sua passione per l’elettronica e dal giubbotto, di sua invenzione, utilizzato nel film Toys. “È una cosa mia. Io non sono un attore, sono più che altro un elettronico. Come nasce quella cosa? I miei figli erano piccolissimi e quando tornavo li vedevo davanti al famoso Commodore 64. Mi dissi, l’elettronica può essere anche divertente. Quindi costruii due giubbotti che erano delle batterie, muovendoti tiravi fuori cimbali, tamburi. E poi da lì è nata l’idea di farne altri, con tutte le musiche sudamericane. L’ho fatto per i bambini. La giacca che ho fatto per Robin Williams fa duemilacinquecento cose diverse, ma non si vede nel film. Perché hanno avuto paura ad adoperarla. L’ho costruita in una settimana, senza dormire. L’ho anche brevettata, brevetto che poi mi hanno rubato i cinesi. Mi chiamava Robin Williams – come si fa a far uscire le trombe, le mitragliatrici, le voci giapponesi?
La doveva costruire uno che faceva i giocattoli a Los Angeles. Ci fu una disputa tra me e lui. Barry Levinson me l’aveva chiesta, e avevo trovato questo che l’avrebbe fatta e poi commercializzata. Io gli dissi di non voler niente degli utili, volevo donarli in beneficienza a dei bambini sordomuti che avevo visitato in precedenza. Facemmo una riunione a New York, con gli avvocati, portando un prototipo della mia giacca e lui chiese alla FOX un sacco di soldi per farlo. Quando io invece sapevo quanto poco potesse costare. Mi arrabbiai – perché chiedi tanti soldi, lo sai che io poi la faccio gratis. In quel momento cacciai tutti gli avvocati dall’ufficio e dissi che l’avrei fatta da solo”.
Tra i vari attori americani che hanno mandato un messaggio di congratulazioni a Giancarlo Giannnini c’è anche Dustin Hoffman, al quale Giannini ha prestato spesso la propria voce. E Hoffman è ben cosciente di cosa questo abbia significato in termini di valore aggiunto: “La prima volta che ho dovuto doppiare me stesso era sul primo film che ho fatto. E ho capito quanto difficile fosse non solo doppiare, ma ottenere un’approssimazione del modo di parlare, cercando di migliorare l’interpretazione, cosa che non sono mai stato in grado di fare. Devo dirtelo Giancarlo, non solo sei il più bravo doppiatore che io abbia mai avuto, ma sei stato capace di migliorare la mia interpretazione ogni volta. Con il tuo ritmo, il modo in cui ti esprimi, l’intenzione nel tono. E ho capito cosa vuol dire essere un grande attore. Magari un giorno lascerai che sia io a doppiare te”.
Chiediamo allora a Giannini del suo immenso lavoro come doppiatore. “Il doppiaggio è una cosa che tu hai o non hai, puoi essere un bravissimo attore e non essere capace a doppiare. È una tecnica, che a me viene facile. Pacino ad esempio lo posso fare ad occhi chiusi. Anzi, il primo doppiaggio di Al Pacino che ho fatto, Quel pomeriggio di un giorno da cani, l’ho fatto senza vedere il film, improvvisando in ogni scena. Il direttore del doppiaggio era Maldesi, bravissimo. In genere l’attore pensa sempre di essere più bravo di chi doppia. Ma come fai ad essere più bravo di Jack Nicholson? Di Al Pacino? La cosa importante è che dopo cinque minuti il pubblico si dimentichi della voce originale. Bisogna dare un tipo di impulso all’immagine che sembri che parli con la tua voce. Il signor Chaplin, che faceva i film muti, nella sua autobiografia racconta che quando è passato al sonoro ha prima fatto degli studi scientifici per capire quanto arrivasse la voce al cervello. Ha scoperto che il gesto, la mimica arriva al cervello per l’83%, la voce per l’8%. Se io dico tavolo il nostro cervello si immagina il tavolo, quindi perde tempo, invece il gesto è immediato. E poi vogliono essere più bravi dell’attore che doppiano.
Dustin Hoffman l’ho conosciuto, è molto simpatico. Ho delle storie con lui, ho delle storie con tanti. Billy Wilder qui a Los Angeles, al ristorante Spago. Io avevo fatto un film con un attore americano, e avevo viaggiato apposta per ringraziarlo e portargli la cassetta. L’avevo invitato da Spago, stavo mangiando con questo mio amico e nell’angolo del ristorante vedo Billy Wilder con Diana Ross, Castelli famoso italiano dell’arte moderna. Devi sapere che per me Billy Wilder è una specie di Monicelli italiano. Volevo salutarlo, ma mi vergognavo. Dopo due minuti arriva il cameriere – il signor Billy Wilder avrebbe l’onore di invitarla al tavolo. Sono andato verso di lui e lui diceva delle battute in italiano con il suo accento tedesco-inglese presentandomi a tutti, una vergogna. Billy Wilder che ti chiama e ti dice le battute sono come sette Oscar.”
Prima di salutarci gli chiediamo se la sua memoria può aiutarci a risolvere un mistero sul doppiaggio di Batman di Tim Burton. Giannini doppiava il Joker di Nicholson, ma l’identità della voce italiana del braccio destro Bob the Goon sembra essere di difficile reperibilità.
“Chi lo doppiava non lo so. Anche perché c’era la colonna separata. Vuol dire che tu fai il tuo protagonista, non vuoi l’attrice o l’attore italiano che ti diano la battuta. In generale il direttore del doppiaggio dice – intonatevi. E io ho detto no, io non devo intonarmi con nessuno. Io vado e seguo lui. E chi fa la donna o l’uomo vicino a me non deve sentire neanche me. Quando tu unisci le colonne non c’è una cosa di recitazione, tu reciti e io rispondo. Stride un po’ ed proprio quello a dare un senso della verità. Dicono – Giannini vuol doppiare da solo, è presuntuoso. Non è vero, questo modo da un senso di verità. L’ho inventata io la colonna separata”.