Beetlejuice Beetlejuice: recensione

FATICA A PARTIRE, MA UNA VOLTA PRESO IL RITMO È UNA FESTA DI FOLLIA GOTICA

DURATA: 105 minuti

USCITA: 5 settembre 2024

VOTO: 4 su 5

Trentasei anni dopo, un’eternità come dicono i materiali promozionali, arriva il seguito di Beetlejuice. Così venerato da poter essere l’epitome del film culto.

La trama ci mette un po’ ad ingranare, muovendosi a stento all’inizio tra la necessità di presentare i nuovi personaggi e quella di dar il giusto spazio a quelli storici. Quando finalmente mette la marcia, non si ferma più, e il film diventa un degno compagno della pellicola originale.

Lydia Deetz (Winona Ryder) quasi quarant’anni dopo, un po’ come Peter Venkman in Ghostbusters 2, conduce un programma televisivo sul paranormale. A quanto pare nel futuro di chi crede ai fantasmi c’è sempre quello di finire in tv a raccontarlo, perché per il resto del mondo si è sempre visti come una frode. Persino sua stessa figlia, Astrid (Jenna Ortega) crede poco all’abilità della madre e le rinfaccia di non essere in grado di parlare con l’unico fantasma con cui vorrebbe comunicare, ovvero il suo defunto padre. Un altro lutto in famiglia riporta la famiglia a rivisitare la casa di infanzia, sì, proprio quella dove c’era Beetlejuice, il quale non ha mai rinunciato all’idea di sposare Lydia e venire a far danni tra i vivi.

Beetlejuice Beetlejuice scava a fondo nell’universo di Tim Burton, invita a fare un viaggio nel tempo mentalmente, un tempo più semplice, con le villette a schiera e la casetta sugli alberi. Anche se il film è ambientato ai giorni nostri e il tempo che è passato per noi, come nelle vite dei personaggi, è uno dei temi portanti, Burton lo inscena con magia e leggerezza, tanto che lo spettatore, moderno Alice nel paese delle meraviglie, viene catapultato in un bizzarro mondo che sembrava non esistere più.

Burton riesce addirittura a trasformare in carne e ossa la sposa cadavere, forse più una fantasia che un gioco, al quale però Monica Bellucci si presta con entusiasmo. A proposito della Bellucci, si può dire che le cose che funzionano meglio sono proprio le novità, gli elementi aggiunti. Straordinario Willem Dafoe, il quale interpreta un attore passato a miglior vita che si crede detective, o la comparsata di Danny De Vito. Funzionano meno le vignette riprese ed ampliate come il Sandworm o il personaggio di Bob (quello con la testa rimpicciolita) moltiplicato all’infinito (se lo sciamano della sala d’attesa non c’è più come si giustifica?) solo perché rimasto nei cuori di tutti. Ma non ci si lasci ingannare, i rimandi, i cosiddetti fan service, sono pochi e sparsi qua e là. La cura e passione con cui è stato scritto questo seguito è evidente, a cominciare dallo spazio dedicato a Beetlejuice, che non supera il minutaggio nel film precedente, una clausola dello stesso Keaton. Dosi piccole, ma buone. Un lavoro di fino che cerca di non far  rimpiangere le (giustificate) assenze. Jeffrey Jones messo al bando da Hollywood riesce comunque ad essere presente “con lo spirito” nel film, visto che il suo personaggio è il motore che fa partire la trama. Così come si trova una giustificazione all’assenza dei fantasmi di Geena Davis e Alec Baldwin. Ed è giusto così, salva il film dalla ripetitività.  

Questo è soprattutto un film dove le donne la fanno da padrona. Tre generazioni, Catherine O’Hara, Winona Ryder e Jenna Ortega, ognuna con ampio spazio a disposizione per brillare. Ortega è bravissima, ma Winona Ryder è immensa. Michael Keaton istrionico come sempre. I numeri musicali forse ci perdono al confronto con i due originali, ma hanno potenzialità di crescere dopo ripetute visioni. È un sequel che sarebbe potuto uscire anche negli anni ‘90 e questo la dice lunga sullo spirito che lo caratterizza.

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