Speak No Evil – Non parlare con gli sconosciuti: recensione

JAMES MCAVOY ECCELLE IN UN THRILLER DI NATURA HITCHCOCKIANA

DURATA: 110 minuti

USCITA: 11 settembre 2024

VOTO: 4 su 5

Speak No Evil – Non parlare con gli sconosciuti appartiene a quel genere di thriller anni ‘90 che faceva sfracelli al botteghino, salvo poi lentamente scomparire. Un plauso quindi al produttore James Blum e al regista James Watkins per aver riportato al cinema il thriller ad alta tensione.

Due famiglie, una inglese ed una americana, si incontrano durante una idilliaca vacanza in Italia. Paddy (James McAvoy) con grande carisma fa immediatamente colpo sull’altra coppia, benchè qualcosa nel profondo sia lì a dirgli di non fidarsi di persone appena conosciute. Ma, saranno i problemi familiari, sarà la routine di quando i due tornano a casa, Louise (Mackenzie Davis) e Ben (Scoot McNairy) ignorano il proprio istinto quando Paddy e famiglia li invitano a trascorrere un weekend nella loro villa sperduta nella campagna inglese.

Che si celi qualcosa di sinistro e che qualcosa di malvagio stia per accadere da un momento all’altro è palese sin dal primo minuto, ma l’intero film è un continuo crescendo che fa leva sull’attesa e l’aspettativa del pubblico. Ad ogni risvolto ci potrebbe essere il massacro e quando sembra di averla scampata ecco che l’adrenalina riprende a salire. Magistralmente orchestrato, il film fa ottimo uso di un James McAvoy in splendida forma, sia fisica che espressiva. Il senso di terrore cresce solo a guardarlo negli occhi. Gli fa da contraltare Mackenzie Davis, ancora più brava di come la ricordavamo. È tutto sul suo volto, il sentore che dovrebbero essere ovunque tranne che in casa con la famiglia di Paddy, eppur per ragioni di quieto vivere, per eccessiva educazione, per ragioni di comportamento sociale che portano ad evitare il confronto e non offendere il prossimo, restano sempre lì. E Paddy usa quella paura di essere brutalmente onesti a suo favore.  

Seppur remake di un film danese, il regista Watkins alza il tiro esplorando le dinamiche e il contrasto sociale tra la cultura inglese e quella americana. Si interroga su certe regole sociali non scritte e le sue conseguenze. Alla fine se ne esce pensando che è meglio dar retta al vecchio detto, fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio.

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