IL DRAMMA CHE CAMBIA LE CARTE IN TAVOLA, IMPREVEDIBILE E STRAZIANTE
DURATA: 135 minuti
VOTO: 3 su 5
Dearest può sembrare una delle tante storie di rapimenti raccontate sullo schermo. Parte senza allontanarsi da quel filone che siamo abituati a vedere, un inizio tranquillo che viene intaccato dal dramma della sparizione seguito dalla disperata ricerca. Fino qui niente di nuovo, il tema viene trattato senza troppi scossoni per poi invece essere completamente ribaltato. Il colpo di scena è quello di stravolgere ogni aspettativa, lo spettatore si ritrova a non possedere alcune certezza e ad essere spiazzato dal dramma che gli si presenta davanti.
La storia racconta è quella della scomparsa di un bambino di soli tre anni che sconvolge del tutto la vita dei genitori. I coniugi, divorziati, sentono il peso dei sensi di colpa e l’assenza che si fa sempre più forte. Inizia così un’estenuante ricerca del piccolo che li porta ad attaccarsi ad ogni minima speranza. Tra raggiri, imbrogli e del tutto dimenticati dallo stato i due genitori continuano, fino al punto di accorgersi che la situazione è molto più complicata e diversa da quel che si aspettavano.
Quella banalità che ci si aspettava all’inizio finisce invece per essere il punto di forza del regista Peter Chan. La pellicola riporta sullo schermo un dramma che emoziona e finisce per cambiare le carte in tavola. Il vero si mescola con il falso andando a creare un’atmosfera che coinvolge e lascia sempre lo spettatore spiazzato.
Dearest sembra diviso in due parti, a metà persino il protagonista cambia dando ancora un colpo allo spettatore e diventando quasi un’altra storia. Non c’è buonismo nel melodramma stesso, arriva duro sui fianchi come la realtà e questo è il colpo grosso messo a segno dal regista.La vicenda è un fatto di cronaca realmente accaduto e ciò, come spesso accade, non viene mai dimenticato nel film. Si sente la rabbia e la sofferenza dei protagonisti in un doloroso moto psicologico.
Dearest presentato fuori concorso alla 71 mostra del cinema internazionale di Venezia venne da subito recepito positivamente dalla critica. La fine non fine si chiude in uno spasmotico grido che diventa un grido intimo e collettivo, un cerchio che non si chiude, che dal dramma famigliare si fa sociale. Il cuore si stringe al punto tale quasi di non sentir più nulla, come un soffocamento alle volte tenero, alle volte brutale come la vita stessa.